CITTA' D'ARTE IN EUROPA E IL FUTURO DELLA VITA URBANA
NAPOLI : LA MEMORIA ABITATA (di Raffaele Bruno)
La città, ogni città, è una costruzione del tempo: essa è tempo che si fa spazio, che diventa case, strade, piazze, orizzonti, superficie, profondità, panorami. L'immensa capitale mediterranea, più classicamente antica di Roma stessa, e insieme spagnolesca ed orientale. Il bellissimo scorcio d'insieme di Roberto Longhi, sull'ispirazione napoletana di Caravaggio, illumina nell'introcata, stratificata ed ininterrotta trama della Storia, quella poetica del tempo che, facendo coesistere grandi differenze culturali ed epocali in una sorta di armonia dissonante, cifra in profondità l'immagine di Napoli.Passaggi umani, usi, abitudini; non a caso termini come "abitudine", "abito", hanno la stessa radice della parola "abitare". L'abitare indica per definizione la dimora degli uomini, il loro"star di casa" in un luogo che è fisico e simbolico, naturale e culturale, storico e mitico.
A differenza di tutte le altre grandi città, a Napoli l'esercizio del tempo non ha luoghi "propri". I suoi scarti restano ai suoi splendori: entrambi testimoni , entrambi superstiti, insuperabilmente uniti. Nella capitale del Mezzogiorno sembra in atto un compromesso incessante tra presente e passato, un infinito negoziato tra memoria e oblio. Come amava ricordare Bartolommeo Capasso, Napoli non è mai stata distrutta e, di conseguenza, non è mai stata rifatta, ma è cresciuta ininterrottamente su se stessa alterando progressivamente le linee di un corpo urbano originario che è rimasto sostanzialmente immutato. Sono nate, imponenti, una stratificazione, una contaminazione, una giustapposizione di tempi e delle tracce che ciascuno di esse lascia: un intreccio fitto dal quale il passato non si lascia neutralizzare e, soprattutto, non si lascia assegnare nessun limite spaziale, non si lascia rinchiudere nelle teche della memoria, non si lascia museificare. La vita della città sembra presa in un vorticoso gorgo temporale in cui il passato sembra essere sempre presente e, d'altro canto, il presente sembra spesso avere le sembianze del passato.
Questa presenza del passato, questa sedimentazione di memorie, materiali e immateriali, non significa, però, che Napoli sia una città ferma, immobile: una società "fredda" secondo l'immagine di Lèvi - Stratuss. Al contrario, è proprio la storia a ricombinarne incessante-
mente gli elementi rilevando nel cuore stesso delle trasformazioni, come in sovraimpressione, una straordinaria permanenza dell'antico, persino dell'arcaico: entrambi fittamente tramati nella modernità, con presenti e non semplicemente sopravviventi. Tale simultaneità contribuisce a fare di Napoli un luogo della monumentalità "diffusa" , e familiare, dove il ricordo, segno di una profonda, non accademica dimestichezza con l'antico. Una città si posa sui suoi miti, sulle sue fondazioni simboliche - che ne sia onon ne sia consapevole - proprio come si posa sulle sue fondazioni materiali, sulle "emergenze" del tempo che solo successivamente la memoria collettiva trasforma in monumenti, attribuendo loro un significato "ulteriore". Questo significato è, precisamente, la lezione del tempo, ciò che il tempoha da dirci attraverso certi luoghi e certi simboli: non a caso un antico sinonimo di monumento era "monimento", entrambi derivanti dal latino.
Napoli è l'unica città d'Europa che abbia conservato nella vita quotidiana, tratti simili a quelle delle città antiche. E' una voce, questa, che passa, di bocca in bocca, tra i protagonisti del grand tour: da Goethe a Nietszche, da Rilke a Benjamin. La maggior parte di essi sente il valore, l'importanza che la diversità di Napoli risveglia nell'osservatore, consistente in parte nell'apparire sempre altra, sfuggente rispetto all'imponente mole di immagini e di steriotipi che pretendono di rappresentarla, di affermarne per intero la complessità. Quei visitatori colgono l'intigrata singolarità napoletana, derivante anche dal fatto che quanto altrove è scomparso, qui è custodito e conservato accanto al nuovo. Nasce così il mito di una Napoli "porosa", arcaicamente "meridiana", un'immagine talvolta leziosa e di maniera - che vede nella città il rovescio, l'antitodo mediterraneo alla disincarnata ragione nordica - ma non priva tuttavia di una sua verità. Prova ulteriore, questa, della virtualità simbolica della metropoli del Sud, in cui ciascuno può trovare la propria verità che cerca.
Oggi, di tale ricchezza, il senso comune, e la sua estetica altrettanto comune, vedono perlopiù gli aspetti deteriori, quelli più epidermici, cioè il disordine, la sporcizia: tutto quanto rende superficialmente simili le grandi agglomerazioni urbane. Non è un caso che Napoli sia spesso vista e raffigurata come un corpo degradato: in realtà il degrado in questione, o meglio, la convenzione rappresentativa del degrado, sono in parte l'effetto della stratificazione ininterrotta del ricordo e dei suoi oggetti. Sfugge così quell'antica unità di luoghi, epoche, comportamenti, che il tempo ha frammentato ma non interrotto.
Tale custodire non è solo conservazione museale del passato, ma rappresenta l'incessante rammemorare e prestare ascolto all'ininterrotto mormorio del tempo, e tradurlo a sua volta in memorie, luoghi, oggetti, abitudini, cultura di una città, il suo modo di essere, cioè di abitare il luogo. Napoli, che pure possiede il più grande centro storico d'Europa non si riduce tuttavia ad un museo a cielo aperto: essa è anche un laboratorio straordinario del tempo in continua attività cui guardare con eidetica attenzione. In questo antico crocevia del Mediterraneo il passato non viene totalmente "dimenticato" nel monumento, rimane testimonianza vivente, non muta e quetata allegoria o riserva archeologica concessa all'esilio degli dei.
Raffaele Bruno
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