INADEGUATE NEL MEZZOGIORNO
di Raffaele Bruno (Vice Segretario Nazionale Vicario e
Responsabile del Dipartimento per le Politiche del
Mezzogiorno del Movimento Idea Sociale con Rauti)
Mi sembra proprio che finora anche il governo Berlusconi
sul Mezzogiorno predichi bene ma razzoli male: Secondo i
dati dell'ultimo Rapporto Svimez, infatti, la spesa
pubblica per il Sud è ancora lontana dalla quota minima,
pari a circa il 38,5% (si tratta di una percentuale espressa
come media tra il peso del Sud in termini di popolazione e
il suo peso in termini di superfice), necessaria per far
fronte alle esigenze normali delle masse popolari dell'area
del Mezzogiorno, sia dall'obiettivo sottostimato del 30% che
è indicato nei documenti governativi.
Anzi la quota di spesa pubblica ordinaria è diminuita sia
al Nord che al Sud, ma con intensità maggiore nell'area
meridionale, dove si è localizzato nel 2006 solo il 22,3%
della spesa complessiva.
Tali numeri dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che al Sud
la spesa dello Stato è troppo bassa per far fronte anche
alle esigenze normali del funzionamento accettabile dei
servizi pubblici di ogni genere, dalle scuole, agli
ospedali, ai trasporti e ci dicono che i governi che si sono
susseguiti mantengono volontariamente, sulla carta, la spesa
più bassa di ben 8,5 punti percentuali rispetto al
necessario e addirittura quando si ragiona sugli effettivi
stanziamenti lo Stato sta sotto la quota necessaria di oltre
16 punti percentuali.
Si può immaginare allora perché tra cifre di
investimento pubblico così sottostimate e gestione
clientelare e mafiosa dei pochi soldi stanziati le strutture
pubbliche, i trasporti, le scuole nel Mezzogiorno siano da
Terzo mondo.
Sulle carenze infrastrutturali, componente importante
dell'arretratezza economica del Mezzogiorno, lo Svimez
insiste molto. Se si pone a 100 il valore di
infrastrutturazione del resto d'Italia il Sud risulta molto
indietro. Per le ferrovie il Mezzogiorno sta al 72,3%, nelle
due Isole che hanno una carenza secolare su questo fronte,
il tasso scende al 40,9%. Le ferrovie risultano, oltre che
quantitativamente insufficienti, molto datate ed inadeguate
alle necessità attuali.
Inadeguate anche le linee di trasmissione elettrica, al 74%
del valore nazionale, e di distribuzione del gas al 44,6%.
Di fronte ad una situazione del genere, diciamo noi del
Movimento Idea Sociale con Rauti laddove è necessario il
miglioramento qualitativo e quantitativo delle
infrastrutture del Mezzogiorno si può comprendere come il
progetto del Ponte sullo Stretto risulti, oltre che dannoso
per l'ecosistema e assolutamente improponibile, anche
grottesco. Che senso ha, oltre a quello di regalare fondi
pubblici alla mafia, un'opera del genere in un contesto dove
mancano le infrastrutture essenziali?
Un dato apparentemente positivo, invece, quello della
"diminuzione" della disoccupazione, che spesso viene citato
dai governi nazionale e regionali come indicatore di un
miglioramento delle condizioni del Sud, si ribalta in
negativo quando si va ad analizzare più attentamente la
realtà.
Infatti, se il tasso di disoccupazione scende dal 19% del
2007 al 12,3% nel 2009, lo stesso Svimez avverte che la
discesa non significa automaticamente aumento
dell'occupazione. Ad esempio in Campania nel 2006 i
disoccupati sono scesi di 47.000 unità, ma i nuovi
occupati sono solo 4.000.
L'occupazione nell'intero Sud risulta cresciuta appena dello
0,7%, portando il tasso di occupati in età da lavoro al
46,6%, ovvero meno della metà della popolazione in età
da lavoro nel Sud. Va ancora peggio alle masse femminili:
solo nel 31,2% del totale delle donne in età da lavoro ha
un'occupazione e spesso si tratta di lavoro supersfruttato.
È ovvio a questo punto che il principale fattore del calo
della disoccupazione è che una quota consistente di
lavoratrici e lavoratori ha smesso di cercare
un'occupazione. In pratica una gran massa di disoccupati
meridionali ha smesso di iscriversi nelle liste di
disoccupazione o si è cancellata da esse e lo Stato non
li conta più come disoccupati.
In totale la "crescita" dell'occupazione è irrisoria a
fronte della reale fame di lavoro del Sud. Appena 105.000
unità di nuovi occupati. Quello che si nota di
estremamente preoccupante è che i nuovi occupati sono
soprattutto lavoratori cosiddetti "atipici" per la
quantità di 75.000 unità. Ovvero per oltre il 71%
dell'intera cifra si tratta di lavoratori a termine,
stagionali, part-time o con contratti "flessibili" di vario
tipo.
Notiamo poi che essi si concentrano in settori non
produttivi come i servizi, dove aumentano del 2,1% i "posti
di lavoro", oppure in settori produttivi come l'agricoltura,
+4,5%, che forniscono, per lo più, lavoro di tipo
stagionale e che sono, purtroppo, in crisi, come si evince
dal rapporto Svimez.
Mentre si registra un lieve aumento di occupati, alle
condizioni che abbiamo spiegato, in un altro settore
produttivo come quello dell'industria si registra un calo
dello 0,7% di operai nel Mezzogiorno. Basti considerare per
comprendere le motivazioni di questo calo la devastante
crisi dell'industria siciliana, pilotata dai governi
nazionali e regionali, che ha portato via migliaia di posti
di lavoro a tempo indeterminato e sindacalmente tutelati in
importanti settori produttivi come la metalmeccanica, la
siderurgia, i petrolchimici dislocati in varie province
della regione.
Il rapporto Svimez calcola anche la quantità del lavoro
nero nel Mezzogiorno che si attesta intorno al 1.391.000
unità, pari ad un quinto di tutti i lavoratori del
Mezzogiorno, con un aumento nel solo 2008 di 43.000 unità.
Il record negativo spetta alla Calabria, con il 27% dei
lavoratori in nero.
Lo Svimez ci indica anche che ancora una volta il
Mezzogiorno è in mano alla criminalità organizzata.
Nel 2008 su 109 omicidi riconducibili alle mafie 108 sono
stati commessi nel Mezzogiorno. Sempre secondo il rapporto
Svimez "su 150mila commercianti in Italia stretti nella
morsa degli usurai, la metà si concentra tra Lazio,
Sicilia e Campania".
I numeri dello Svimez sono molto importanti, ma da soli non
danno il livello del sempre maggiore radicamento della
criminalità organizzata nel Mezzogiorno e dell'impatto
devastante che la crescita delle mafie ha sulla vita delle
masse popolari.
Ad esempio in Sicilia, soprattutto a Palermo, è evidente
dalle vicende degli ultimi mesi che la mafia sta riprendendo
a muoversi militarmente per riacquistare quel controllo
assoluto sul territorio e sulle masse popolari che aveva
avuto fino alla fine degli anni '80 e che aveva, in parte,
perso nel periodo della mobilitazione di massa e del
concentrico attacco della magistratura alle cosche. Che
"Cosa nostra" stia tornando a muoversi militarmente lo
dimostrano anche le minacce agli attivisti antimafiosi e la
ripresa degli omicidi di mafia.
È possibile che questi movimenti militari dipendano dalla
possibile apertura di nuovi spazi di appropriazione illecita
a seguito delle politiche economiche antipopolari
affamatrici dei governi nazionali e locali, anche se pare
che la magistratura non abbia ancora elementi per dimostrare
una tale ipotesi. È certo, tuttavia, che la mafia non
può che essere stata favorita da una serie di
provvedimenti da parte dei politicanti borghesi a livello
nazionale e locale, in testa le privatizzazioni.
La ripresa dell'emigrazione
Industria al palo e agricoltura in crisi, flessibilità
selvaggia dei rapporti di lavoro, assenza di servizi
adeguati, presenza asfissiante della criminalità
organizzata, mancanza di prospettive per il futuro. Sembra
di parlare del Mezzogiorno del dopoguerra ed è più o
meno a quei livelli di arretratezza che lo Stato
liberalcapitalista ha riportato il nostro Sud. Ed è da
questi livelli di arretratezza economica e sociale che è
ripreso il dramma dell'emigrazione con tassi che ricordano
il grande esodo degli anni '60.
I giovani disoccupati hanno ripreso a spostarsi dalle
regioni del Sud verso le "ricche" regioni del Nord,
Lombardia ed Emilia-Romagna in testa.
Lo Svimez afferma "nel 2008, in base agli ultimi dati
disponibili, sono stati circa 270mila i trasferimenti
stabili (120mila) e temporanei (150mila) Sud-Nord: numeri
molto elevati, se si pensa che negli anni di massima
intensità migratoria 1961-63 la quota raggiunse i
295mila".(1)
Le regioni da cui si emigra di più sono la Campania
(38.000 emigrati), la Sicilia (28.600), la Puglia (21.500).
L'emigrato tipo ha "tra 25-29 anni, quasi la metà ha un
titolo di studio medio-alto (diploma superiore il 36,3% e
laurea il 13,1%)". Si può supporre allora che
l'emigrazione dal Mezzogiorno stia diventando un fenomeno
generalizzato, che colpisce sia i giovani proletari, che
più difficilmente raggiungono tassi alti di
scolarizzazione, e i giovani dello strato inferiore della
piccola borghesia, i quali generalmente raggiungono titoli
di studio più alti, diplomi e lauree.
Ciò a differenza degli anni '60 quando erano solo le masse
contadine del Sud a cercare sbocchi lavorativi al Nord.
Evidentemente questa nuova ondata di emigrazione è causata
dalle politiche antimeridionali che hanno mandato in crisi
importanti settori produttivi che erano lo sbocco
occupazionale dei lavoratori al Sud, industria, agricoltura,
ecc., e hanno chiuso possibilità occupazionali anche per
le nuove generazioni dello strato inferiore della piccola
borghesia del Sud, le quali storicamente sono stati occupati
nella scuola, nelle pubbliche amministrazioni ecc. .
A questo punto possiamo supporre che l'emigrazione
contemporanea non sia più quel fenomeno sociale che
garantiva anche un qualche sostentamento alle famiglie
d'origine del Sud. Avere un emigrato che lavorava da operaio
in qualche fabbrica del Nord negli anni '60 significava un
aiuto economico per le famiglie del Sud. Oggi l'emigrazione
non produce nuove entrate economiche alle famiglie
d'origine. I giovani emigrati vanno infatti incontro a
contratti di lavoro che nel migliore dei casi sono di pura
sussistenza.
È certo che il Sud ha ancora enormi problemi strutturali
nella sua economia, ma quello che secondo noi emerge dal
rapporto Svimez è il legame tra l'aggravamento di quel
complesso di elementi che definiscono la Questione
meridionale e la politica antipopolare condotta negli ultimi
anni dai governi nazionali e locali del "centro-destra" e
del "centro-sinistra". In sostanza, a parte la crisi
economica globale, attacchi ai diritti dei lavoratrici e
supersfruttamento nei rapporti di lavoro, privatizzazioni e
svendita del patrimonio di infrastrutture pubbliche, spesa
dello Stato sottostimata e tagli, sono questi gli elementi
che hanno condotto al riacutizzarsi dei problemi del Sud.
Problema dei problemi se il governo Berlusconi non si
deciderà presto ad investire seriamente in sviluppo, aiuto
alle famiglie, infrastrutture e lavoro vero.
Raffaele Bruno
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