mercoledì 18 febbraio 2009

L'OPERA NAZIONALE DOPOLAVORO

L'OPERA NAZIONALE DOPOLAVORO

di Umberto Franzese

Così come taluni raccontano in punta di penna per non
lasciarsi andare oltre il "lecito", il regime fascista
si preoccupò anche del benessere fisico e spirituale del
popolo, alleggerendolo, sgravandolo dalle fatiche
dell'impegno quotidiano. Fu allora, a dispetto di quanti
parlano e straparlano, quella ducesca, piuttosto un'era di
felice convivenza, di tranquillità, di pacificazione, di
spensieratezza, festosa, felice, radiosa fino ai superbi
anni quaranta – quarantadue.
Non fu una ubriacatura generale, una mescolanza di
illegalità, d'impunità, di soperchierie. Non fu
un abbassamento di valori, un sistema libertario,
sovvertitore, immorale, intemperante, vizioso, dissoluto,
licenzioso. No, non lo fu. Oggi, quanti, invece, ripudiano
ogni sano principio, sono sregolati nel rapporto degli uni
con gli altri. Chi non vuole perire ha bisogno d'altro. Di
altro che riesce ancora ad attrarlo perché resta
incontaminato.
Il Dopolavoro, ovvero il tempo libero del Duce: uno spaccato
sottratto al lavoro per strutturare le ore ricreative.
L'Opera Nazionale Dopolavoro fu istituita nel 1925 e
contava alla fine degli anni trenta circa ventimila
associazioni aderenti.
Il "dopolavorismo" comprendeva una infinita serie di
attività ricreative che si rifacevano sia alla cultura di
massa sia alle tradizioni popolari. Passatempi sani. Giochi
individuali e collettivi, feste paesane, sagre, fiere,
escursioni. Nel 1940 gli iscritti all'O.N.D. erano circa
quattro milioni tra operai, artigiani, salariati e
contadini. Da un capo all'altro della Penisola nascevano
vasti centri di elevazione, di promozione, di nobilitazione.
Strutture articolate, armoniose, rilevanti, che andavano a
coprire spazi esposti o sottratti ad occupazioni perniciose,
degradanti, oziose. Il Paese, ovvero la Nazione, come si
diceva in quel tempo, aveva bisogno di conoscere le proprie
radici, puntare su tutto ciò che sapeva d'italianità.
Così ciascuna regione doveva rivalutare la propria
cultura, le proprie tradizioni, il proprio folklore.
Studiosi e ricercatori si mobilitarono per rispolverare o
arricchire di elementi nuovi e più moderni antiche feste
religiose, cortei storici, processioni, gare canore, corse
ciclistiche e podistiche, competizioni sportive, giochi
allegorici, sagre e fiere paesane. D'un sol colpo gli
Italiani sonnacchiosi e pantofolai si scopriranno inclini,
pronti a partecipare, a sfidare, a confrontarsi, a
gareggiare, a competere, a emularsi.
L'Italia del dopolavoro si ridestava, si metteva in gioco,
si ravvivava, si trasformava. Nasceva un rinnovato amore di
Patria nella rivalutazione di tutto ciò che era italiano.
La ruralizzazione, le bonifiche, il ritorno alla terra col
suo modo di vita, di costumi, di tradizioni segnate dal
susseguirsi delle stagioni. Un ritorno all'antico, alle
antiche usanze, agli antichi costumi, agli antichi sapori.
Allora, come oggi, si correva verso quei modelli non ancora
imbastarditi e corrotti dalle moderne megalopoli. Allora,
come oggi, una corsa affannosa verso i campi, verso i laghi,
verso i monti, al mare. Tutti novelli Cincinnati. Oggi,
tutti vanno verso la Natura, solo che nessuno vuole andarci
a piedi. E così tutti belli e intossicati. Allora si
andava anche in treno e in bicicletta verso la Natura, per
sentirsi vivi, tutti insieme per contare, tutti insieme
nell'unità, in una sola identità di nazione.
A completamento della grandiosa opera, l'innesto del
"sabato fascista", della "befana fascista", delle
"colonie marine" aperte anche ai figli degli italiani
all'estero. E il Duce? "Il Duce c'è, Mussolini è
dovunque, in nome e in effigie, in gesti e parole. Egli
comanda di far pigliare il sole e di curare i bambini…"
Nel 1932 sui treni popolari circolano 1.300.000 viaggiatori.
Sulle strade si muovono 294.434 automobili contro le 64.298
del 1922; 95.818 sono le motociclette. Il Duce si dice
contrario al dimagrimento e all'allattamento artificiale;
consiglia l'uso dell'uva e del riso. Si schiera in
difesa dei prodotti agricoli e lancia la campagna per gli
agrumi, suggerendo di bere aranciate e limonate. Propone di
studiare seriamente l'inquinamento dell'aria nelle
grandi città.
Il dopolavoro della campagna unisce l'utile al
dilettevole: ogni fazzoletto di terra è seminato a grano.
L'Italia non ha più bisogno d'importare grano
dall'estero! Il grano è italiano. Si allestiscono
conigliere, alveari, allevamenti di galline, di maiali. E le
feste non sono soltanto dilettevoli, ma anche utili per
promuovere le sagre di prodotti agricoli o per vendere quote
di raccolto di aziende a conduzione familiare. La festa
dell'uva è estesa a tutte le zone di produzione, dal
Trentino alla Sicilia. Dalle città alla campagna per
musiche, canti, balli, giochi, bancarelle. E l'O.N.D.
s'impegna ad organizzare i collegamenti per facilitare il
trasporto degli associati, degli affiliati, della gente
comune. Il popolo partecipa in massa, si diverte, si
appassiona ascoltando un concerto, un coro; assistendo a uno
spettacolo, a una mostra, a una competizione sportiva. Il
vino, il buon vino lega gli uni agli altri, timidi ed
estroversi. A esaltazione della campagna ecco il fiorire di
canzoni, come: Reginella campagnola, Rosabella del Molise,
Amor di pastorello, Se vuoi goder la vita.
L'Abruzzo agreste rivive, intanto, nelle nitide tele di
Francesco Paolo Michetti, mentre la campagna
siciliana appare mitizzata nelle pagine de' I Malavoglia
di Giovanni Verga. Il ballo di moda è il Tanganilla e
l'Italia danza sulle note del Tango delle capinere e del
Valzer dell'organino.
Dell' O.N.D. rimane traccia indelebile anche dopo la
caduta del regime, nell'E.N.A.L. (Ente Nazionale
Assistenza Lavoratori), ma non è più un grande movimento
di massa così come persino all'estero se ne era
avvertita l'eco. Il "dopolavoro", altra grande
iniziativa del periodo mussoliniano, si era affermato per la
diminuzione delle ore di lavoro, con l'esplosione dei
consumi e della cultura di massa e con l'appagamento delle
classi popolari. Tale tipo di organizzazione trovò assetto
ad imitazione dell'O.N.D. anche in Grecia col Focolare dei
Lavoratori, in Spagna, in Francia, in Germania, in
Portogallo. Agli indifferenti, agli apatici, ai miscredenti,
agli scettici, ai mentitori, ai meschini, dico, in lingua
madre: "Magna non numero nisi industria!". E se così
non bastasse, con la lingua dei Padri: " Bazzariote,
quanno parlate 'e chillu Bellommo, sciacquateve 'a
vocca!". Visti i tempi, questi tempi!

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