lunedì 22 marzo 2010

STEVEME SCARZE A....

STEVEME SCARZE A…

di Umberto Franzese


Ce ne sono di nostri, e come! Ad essi vanno ad aggiungersi,
con termine improprio, i "migranti". Più giusto
sarebbe dire "immigrati" o meglio clandestini. O forse
migranti perché vanno e vengono? Li rispedisci indietro e
in breve tempo te li ritrovi in casa. E' questo che si
vuole intendere? Sottigliezze linguistiche che dicono e non
dicono. Come se cambiando il nome cambiasse la sostanza.
E' stato così per spazzino che è diventato operatore
ecologico; cieco per non vedente; sordo per non udente;
diversamente abile, soprappeso, sottopeso. Ma non fateci
ridere, cretini! No, cretini no va, meglio cerebralmente
svantaggiati. Ma non è questo l'argomento in oggetto,
piuttosto vogliamo trattare dei "migranti" ovvero dei
clandestini che vengono ad ingrossare le fila dei nostri
loschi figuri o sfaccendati, perdigiorno. L'imperativo,
secondo taluni è: dare asilo ai poveri cristi.
Nell'immediato dopoguerra nel Bosco di Capodimonte furono
sistemati in baraccamenti assai improvvisati i profughi
della Venezia Giulia, dell'Istria, della Dalmazia. A
seguito della ottenuta indipendenza delle ex colonie
italiane, nelle catapecchie della Canzanella furono
alloggiate decine e decine di famiglie di nostri
connazionali. Nella ex Caserma Bianchini per decine di anni
furono ospitati coloro che avevano perso la casa sotto i
bombardamenti. Oggi sparsi qua e là, nelle zone
periferiche della città, abbiamo gli "scantinatisti".
E quanti sono i napoletani sui quali pende uno sfratto? Non
siamo in grado di offrire un alloggio agli scantinatisti,
agli sfrattati, e dovremo poterlo offrire ai clandestini? Ai
clandestini non siamo in grado di offrire un bel niente,
perché quel "niente" è riservato ai diseredati di
Napoli. Faciteve 'e cunte. 'O surdo fa bbene 'o
cecato.
C'è da chiedersi: ma lorsignori perché non producono e
si danno da fare rimanendo in casa loro, dato che hanno di
come far fruttare i loro immensi territori? Vulessero 'o
cocco munnato e bbuono? E se invece di aiutarli in casa
nostra, perché non diamo loro una mano per costruire in
casa loro? E tagliamo di netto, se non sortiscono alcun
effetto, gli aiuti italiani al Terzo Mondo, che solo
surrettiziamente servono alle imprese nostrane che
intervengono nei paesi "assistiti?
Non ci servono clandestini che delinquono, non ci servono
lavavetri, orchestrali di strada, questuanti, accattoni,
ambulanti, pizzaioli, commercianti sfusi e a pacchetti,
faccendieri, trafficanti, maneggioni. Non produco ricchezza
ma la sottraggono a noi e ai nostri figli e nipoti.
Cosa c'entrano zingari, clandestini, extracomunitari
afroamericani con la nostra civiltà, la nostra cultura, la
nostra storia, le nostre tradizioni?. Essi contribuiscono a
toglierci ciò che ci appartiene e che è solamente nostro
perché ci è costato lacrime e sangue. Essi ci
costringono a vivere in un contesto degradato e fatiscente.
Essi non hanno niente da insegnarci, niente da offrirci che
non è il peggio del peggio. Essi mostrano comportamenti
scorretti, indecorosi, che non tolleriamo neppure se
praticati dai nostri connazionali. Essi esercitano
attività riprovevoli seguendo strade già battute dai
delinquenti nostrani. Essi disprezzano le nostre cattedrali,
le nostre chiese, i nostri musei, i nostri monumenti, le
nostre leggi, le nostre tradizioni, le nostre feste.
La storiella che anche noi siamo stati emigranti ce la
raccontano in tutte le salse. Ben nove milioni di italiani
emigrarono verso le Americhe e l'Australia tra la fine
dell'Ottocento e i primi del Novecento, specialmente
napoletani, calabresi, siciliani. Specialmente meridionali
dopo l'Unità, dopo che il Sud subì l'invasione dei
garibaldini e dei piemontesi. Erano terre sconfinate le
Americhe e l'Australia, ricchissime e spopolate. C'era
da innalzare fabbriche, costruire case, far fruttare immense
distese di terreni incolti. C'era asilo e lavoro per tutti
e, gli italiani che lì piantarono le tende, furono
impiegati nei lavori più umili. Il loro impegno in quelle
terre fu un risorsa per i nativi. Quelli che vengono qui con
la speranza di trovare un domani migliore, non vivono ma
sopravvivono, sono degli abusivi, dei "fuorilegge", dei
diseredati che si aggiungono ad altri diseredati, degli
illegali che vivono nell'illegalità.
Bisogna essere tolleranti, indulgenti, ci dicono i "falsi
buonisti". Anche noi del sud, specialmente noi del sud,
dobbiamo accoglierli a braccia aperte perché essi, come
noi, vanno in cerca di terre sterminate da coltivare, di
lavoro che ce n'è a iosa, di case che ne avanzano, di
fabbriche da costruire dalle fondamenta.. Aiutati che Dio ti
aiuta. Essi non sono in grado di aiutarsi nei loro paesi e
il Dio loro vengono a cercarlo qui da noi e neppure lo
vedono. Nessun lavoro è vergogna, stare senza far nulla
è vergognoso. Essi si sono vergognati di lavorare nel loro
sud ed ora nel nostro sud non si vergognano di star senza
far nulla.
Apriamo le porte, lasciamoli entrare nelle case dei finti
buonisti che a parole sono pronti ad auto assolversi, ma la
loro solidarietà si smorzerebbe di colpo se fossero
toccati nei loro vividi interessi.
Sono pronti i buonisti a offrire la monetina all'accattone
clandestino, ma non più di tanto, perché essi non hanno
provato ciò che a loro non è mai mancato. Essi, i
buonisti godono del sovrappiù, a quelli manca il
necessario. Solo chi ha assaggiato la miseria nera può
sapere cosa significa vivere nell'indigenza. I finti buoni
disprezzano chi soffre. Quelli che soffrono, i buoni li
vedrebbero volentieri accattoni e nullatenenti come loro.
Chi ci tende la mano non può che odiarci e farà di tutto
per mettersi un giorno al posto nostro.
Il lavoro di ciascuno di noi deve recare beneficio
all'intera comunità. Chi non lavora non è utile agli
altri e nemmeno a se stesso.
Annotava Flaiano: " Detesto il paternalismo, non amo il
calcio e non so cantare". E descrivendo certi connazionali
del suo tempo:"Da parecchi anni l'Italia è sta invasa
da un barbaro autoctono. Questo barbaro assedia le città
dall'interno della mura. Chiamatelo provinciale, neoricco,
cafone, tamarro, buzzicone, per me resta un barbaro".
Questo monito va bene per i nostri, e a quegli che ci
invadono, cos' altro vogliamo dire? Ma c'è di peggio.
Altra notazione esecrabile è quella di chi considera i
meridionali, specialmente i napoletani, peggio degli
africani. Gli uni degni degli altri. Se non ci mettiamo una
pezza, quale sarà l'avvenire dei nostri figli? C'è
d'aspettarsi di peggio?

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