venerdì 24 dicembre 2010

BANCHE E MEZZOGIORNO (di RAFFAELE BRUNO)

Il Vice Segretario Nazionale Vicaro MIS Raffaele Bruno ha rilasciato la seguente dichiarazIone: «Il fenomeno più rilevante della patologia bancaria nel nostro Paese è rappresentato dalla crisi delle banche meridionali, che ha riguardato sia i maggiori istituti pubblici che banche private di ridotte dimensioni, assumendo vere e proprie caratteristiche di instabilità sistematica. Questa analisi, che ebbi modo di illustrare nella mia qualità di Vice Segretario Nazionale Vicario e responsabile del Dipartimento per le Politiche Meridionali del Movimento Idea Sociale, in un convegno sul tema : "Banche e Mezzogiorno", organizzato dal Banco di Napoli e dall'Unione Industriali della Campania, trova purtroppo conferma nel numero di provvedimenti di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta relativi a banche con sede nelle regioni del Sud. La ricollocazione della proprietà avvenuta negli ultimi anni a vantaggio di aziende con sede legale nel Centro Nord sta avendo effetti devastanti sul tessuto economico e sociale del Mezzogiorno, poiché le banche gestite da centri decisionali non locali hanno aumentato la loro avversione a dare fidi a imprese e a dare una mano chi è in difficoltà. Oggi le banche del Sud gestite dal Nord praticano tassi già di per se da usurai e addirittura di tre quattro punti superiori a quanto si pratica nelle regioni settentrionali. Vale a dire che un imprenditore che chiede un aiuto economico ad una banca, a pari condizioni, paga fino a cinque punti in più di tasso di interessi rispetto ad un imprenditore del Centro Nord. Tutte le banche comandate dal Nord hanno poi il compito specifico di rastrellare i risparmi dei meridionali per poi investirli nelle regioni del Centro Nord, con il risultato che il Sud diventa sempre più povero e gli imprenditori meridionali hanno sempre meno possibilità di essere aiutati dalle banche. Certo, fare banca al Sud significa confrontarsi, da un lato, con una realtà imprenditoriale a più alta rischiosità, carattere a sua volta originato, a parità di altre condizioni, dall'incapacità cronica dello Stato e degli Enti Locali di offrire in modo efficace i beni pubblici primari: tutela dei diritti della persona e della proprietà, autentici catalizzatori del lievito dell'economia di mercato, rappresentato dalla fiducia. L'assenza della miglior miscela tra regole e fiducia rappresenta la più grave carenza con cui devono confrontarsi banche e imprese del Mezzogiorno, e rispetto alle quali la parte migliore dei ceti produttivi poco può. Il Mezzogiorno ha patito per decenni i costi economici e sociali di una sorta di tacito "patto scellerato" che negli scorsi decenni ha legato il triangolo politica – impresa – banca nella reciproca protezione delle rispettive rendite di posizione. L'intreccio tra politica, banca, impresa, famiglia e istituzioni di controllo è rimarchevole. In generale, la grande politica affaristica ha disegnato regole del gioco che indirizzavano le risorse verso usi pubblici e privati economicamente improduttivi, ma elettoralmente vantaggiosi. Tante imprese collegate ad affaristi, malavita e banchieri senza scrupoli asserviti alla politica traevano vantaggio da quell'intreccio, che definiva mercati e settori poco competitivi.L'inefficacia delle istituzioni pubbliche – tempi e modi della burocrazia e della giustizia in testa – hanno completato il quadro, in cui rendite politiche e professionali hanno finito per determinare un nodo difficile da sciogliere. Ma oggi siamo caduti dalla padella alla brace. Dalle grandi banche gestite dal potere politico che dava fidi facili ai camorristi e ai politici di Tangentopoli, siamo passati ad un sistema creditizio che nel Sud è completamente in mano alle speculazioni del Nord. Di fronte a questa situazione nessuno ha mosso finora un dito. Oggi si ritorna a parlare del problema, ma solo perché qualcuno vuole farsi un poco di propaganda personale. Tutti i partiti, i sindacati e la classe politica meridionale sono di fatto complici e qualcuno avrà pagato il loro silenzio. Ecco perché fummo soli noi del Movimento Idea Sociale a chiedere un'indagine parlamentare sul Credito meridionale e a protestare per giorni sotto la sede centrale di via Toledo quando anche il più grande e prestigioso Istituto bancario meridionale: il Banco di Napoli, fu svenduto all'Imi San Paolo di Torino per una manciata di miliardi delle vecchie lire».

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