mercoledì 25 aprile 2012

IL NAPOLETANO: DONO DELLA PROVVIDENZA! (di Umberto Franzese)

IL NAPOLETANO: DONO DELLA PROVVIDENZA!

di Umberto Franzese

C'è chi vede tutto o quasi, chi capisce tutto o quasi, c'è chi inventa tutto o quasi. E c'è chi si dice, si chiama, si crede, ritiene di mettere mano ad un qualcosa che non si sa cosa sarà. Ci sono poi quelli che si curano di sé e si occupano del proprio particolare.

C'è, invece, bisogno di densità culturale, di riscoprire le proprie radici, di recuperare lo spirito campanilistico, di un'azione organica tesa al riconoscimento di valori e di identità regionali. Il passaggio è: quartiere, città, provincia, regione. L'una identità include l'altra.

C'è bisogno di conservare, preservare, tutelare un patrimonio, un capitale, una ricchezza che appartiene a noi tutti. E questo patrimonio, questo capitale, come è stato definito,"è l'oro dei Napoletani", è un dono della Provvidenza.

 Con Redeamus ad Neapolitanum, corrente di pensiero e di azione per la rivitalizzazione di un dialetto, il napoletano, lingua pura per eccellenza, s'avverte forte la necessità di riprendere uell'itinerarioquell'itinerario intrapreso sin dal 1976 con una serie di convegni-dibattito, tra i quali: Redeamus ad Neapolitanum; Na cuntata abbasata p''a lengua napulitana; Caratteri, mutazioni e capricci del dialetto napoletano; Uber die neapolitanische Sprache; Hispanismos en el dialecto napoletano: Motivos de una eleccion; Les gallicismes dans le dialect napolitain; A scola, ma pure cu 'a pratteca, mparammece 'o nnapulitano; All'ebbreca 'e stu fatto: leggende, racconti e canti della tradizione napoletana.. A questo proposito sulla scia dei precedenti convegni e tavole rotonde, si è svolto sabato 14 aprile, nella Chiesa di S. Maria Maggiore alla Pietrasanta, il symposium "Mpizzo 'e lengua te l'aggio di' " a cui hanno partecipatogli studiosi: Carlo Iandolo, Pietro Lignola, Pietro Treccagnoli, Sergio Zazzera, coordinati da Fiorella Franchini. 

Il napoletano ha in sé, nel suo DNA, il greco, il latino, l'osco, l'arabo, il catalano, il francese.

La lingua napoletana è stata, fino al tardo Ottocento, un mezzo della espressione artistica di matrice popolare eccezionalmente efficace. Questo immenso patrimonio è arrivato fino ai giorni nostri tramandando verbalmente i canti che il popolo, lontano dall'uso della scrittura, creava.

Tutta quella impareggiabile eredità artistica, come  la canzone il teatro, la poesia,la musica, che ha reso meritatamente Napoli famosa nel mondo, deve essere preservata, tutelata, valorizzata.

Una lingua è viva quando non ricorre a prestiti esterni, a prefabbricati verbali propri o altrui per inventare comunicazione quotidiana o creazione letteraria, ma attinge alla falda profonda delle proprie potenziali risorse espressive. Perciò occorre, urge un movimento di resistenza attiva contro l'inquinamento della lingua.. Occorre risvegliare l'orgoglio napoletano. L'imitazione delle lingue porta con sé a mutare le proprie opinioni, i propri costumi, persino le proprie vesti E cresce la voglia del non produrre, del non creare, del non fare, del non volere.

Ogni dialetto è una lingua e la distinzione di valore tra lingua e dialetto è solo una finzione politica. Il dialetto, diventa lingua, quando viene scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti del cuore, per manifestare le proprie idee, il proprio sentire, i propri desideri.

Il napoletano è, senza dubbio, fra i dialetti nostrani, il più ricco di basi di fondo, il più armonioso di suoni e il più efficace per espressioni. Il napoletano dura perché durano la cultura, le tradizioni, le arti cui si connette. Il napoletano dura perché non si ammala di esterofilia. Il napoletano accoglie espressioni esterne, ma in luogo di introitarle, le trasforma, le discioglie. Il napoletano entra e s'infila dovunque: nel commercio, nello sport, nel giornalismo, nei tribunali, nel burocratese, nel politichese. Il napoletano diventa lingua nazionale infiltrandosi in gastronomia (pizza, sfogliatella);

 nel lessico familiare (arrangiarsi, sfizio); negli insulti ed affini ( cafone, mannaggia); nel linguaggio della malavita ( cosca, scippo); delle superstizioni ( iettatore, malocchio); nel gergo marinaresco

( lampara, paranza).

Ritornare al napoletano è un modo per avvicinarsi alle civiltà di cui quei sistemi linguistici erano espressioni e di cui oggi siamo eredi.

Umberto Franzese

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