venerdì 24 aprile 2009

I GIORNI DELL'ABBANDONO

(E "liberazione" fu)

(a cura di Umberto Franzese)

I GIORNI DELL'ABBANDONO

L'otto settembre è un giorno memorando:
volta la fronte all'invasor nefando,
l'Italia con l'antico suo valore
alla vittoria guidò il vincitore.
L'otto settembre è memorabil data:
volte le spalle all'infausta alleata
già col ginocchio a terra, corremmo a vincer coi nostri
nemici
arditamente quella stessa guerra
che avevamo già persa con gli amici.
Tutto è chiaro fin qui, semplice e onesto:
son due modi di dire,
né val sapere se quello è meglio di questo.
Or dobbiamo stabilire
quale fu mai l'amico
e quale fu il nemico,
qual l'alleato e quale l'invasore.
Dopo aver decretato
Che nemico ed alleato
amico ed invasore
fu il vinto, e il vinto solo,
è da chiarire
quale fu il vincitore.

Curzio Malaparte, efficace descrittore ne' "la Pelle"
di quell'infausto periodo della fine della
II guerra mondiale, così tracciò in questi espliciti
versi uno dei più vergognosi voltafaccia della storia
recente.
Cominciò così. L'8 settembre 1943 l'Italia riscopre
la sua atavica inclinazione: il tradimento.
Alle 18,45 nella sede dell'EIAR in Prati, Pietro Badoglio,
con voce ferma, annuncia la resa
"nell'impossibilità di continuare l'impari lotta".
Alle ore 19 il generale Alexander invia a
Churchill il segnale dell'inizio delle operazioni.
L'ordine è preciso: puntare sul golfo di Salerno.
Poco dopo ai soldati di mare di terra e di cielo viene data
notizia dell'armistizio chiesto dagli
Italiani. Kesserling si pone sulla difensiva per arginare lo
sbarco alleato. Le truppe italiane
dell'artiglieria costiera vengono rese inoffensive dalla
16^ divisione germanica.

Erano i giorni dell'abbandono;
nelle case le spose intrecciavano
fili di speranza;
i bimbi portavano nelle palme
il profumo di fiori spenti;
le fanciulle avevano in cuore
tristezze e pianti;
nella polvere le impronte
di tutte le bandiere;
un cumulo di escrementi l'ultimo
baluardo, estremo giaciglio
di un angelo teutone.

Per un ragazzetto inconsapevole testimone di quegli incerti
terribili giorni, quale io ero, una esposizione efficace sul
filo del ricordo a trenta anni di distanza.
Gli scontri avvenuti il 28 settembre fra italiani e tedeschi
nella mattinata di quella che sarà ricordata
come la prima delle "quattro giornate", indurranno gli
storici più frettolosi a parlare di "insurrezione
popolare". In realtà, non esiste un qualsiasi piano
d'attacco, i vari episodi sono isolati e non hanno alcun
collegamento logico e tattico. Mancano i capi e, in fondo,
mancano i combattenti, se si considera che, in una città
di un milione e mezzo di abitanti, gli insorti – contro
poco più di duecento tedeschi – sono circa ottocento,
anche se in seguito la qualifica di partigiano verrà
riconosciuta a 15879 nominativi. E' opportuno ricordare a
questo punto che il comitato incaricato di riconoscimento
della qualifica di partigiano era presieduto da un
americano, il capitano Chaperman: questi si dimise dopo
pochi giorni, dichiarandosi scandalizzato dalla facilità
con cui "si regalavano e vendevano a contanti tessere e
medaglie". Il motivo primo, che spinge gruppi sparuti di
napoletani alla sollevazione, è il saccheggio dei depositi
di viveri e oggetti di valore. Contro i saccheggiatori
intervengono i soldati tedeschi. Viceversa contro i
guastatori germanici rimasti in città con l'intento di
mettere fuori uso impianti di produzione e di rifornimento,
si oppongono popolani ed ex militari. Comunisti ed ex
confinati si assumono, invece, il compito di dirigere veri e
propri scontri di resistenza armata. Focolari
d'insurrezione hanno luogo ai Camaldoli, a Materdei, a Via
Duomo, a Via Foria, a Capodimonte, alla Floridiana, a Piazza
Dante, all'Arenella, a S. Teresa. Un altro dei motivi men
che secondario è la razzia di persone e cose che gli ex
alleati traditi mettono in atto con forsennata metodicità.
Uomini validi al lavoro si rifugiano sui tetti delle case,
nelle chiese, nei monasteri, nei sottoscala, nei
sotterranei, nei nascondigli più impensabili.

Mo ch'è fatto l'armistizio,
vene 'o juorno d'' giudizio,
e chi nun ha rispettato
'e marite 'e nnamurate,
starrà dicenno: mo comme me spiccio
e comme l'arremmedio stu pasticcio?
Mo ca torna Geretiello
trova 'o figlio schiavuttiello,
mo ca torna Pascalino
trova 'o figlio marrucchino (…)

…O contano 'e cummare chist'affare:
sti case nun so' rare, se ne vedono a migliare.
E vvote basta sulo 'na guardata
e 'a femmina è rummase
sott''a botta 'mpressiunata (…).

Gli aerei alleati, prima e dopo la "liberazione",
impartivano, con la forza della persuasione, un corso
accelerato di "democrazia livellatrice" in un continuo
crescendo di bombardamenti indiscriminati, che avevano come
scopo di mietere vittime innocenti e terrorizzare le
popolazioni inermi.
Tra l'8 agosto e il settembre 1943, ad esempio, le
incursioni erano state più di 4500 con il lancio di 7000
tonnellate di bombe.
Il 4 agosto la città era stata colpita da un violentissimo
bombardamento. Piovvero giù dal cielo centinaia di bombe:
furono ore di angoscia indescrivibile. Arse per tre giorni
la più illustre delle chiese di Napoli: Santa Chiara
(…).

Munasterio 'e Santa Chiara…
Tengo 'o core scuro scuro…
Ma pecchè, pecchè ogne sera
penzo a Napule comm'era,
penzo a Napule comm'è!
Napoli USAta: per sottintendere occupata o come intona uno
stonato ritornello "liberata".
Un fortunato copione messo in scena dal Teatro dei Sordi che
aveva rimosso, riscoperto un periodo della storia patria,
rinnovellando vecchi motivi, filastrocche, canzoni
popolaresche, stornelli, vicende, fatti e misfatti del
periodo dell'occupazione dell'Allied Military
Government, imposto su tutto il territorio nazionale. Sulla
scia dei Sordi si avventarono ed avventurarono vari gruppi
teatrali, nuove e vecchie compagnie di canto popolare. Fu
quella un'ulteriore vampata per tracciare con maggiore
enfasi e spregiudicatezza, così come era avvenuto per "i
giorni dell'abbandono, la trattazione di un lasso di tempo
che avevo vissuto in modo drammatico.
Napoli alla mercé degli occupanti. Bianchi e neri
scorrazzavano nei quartieri popolari e ai bimbi di Napoli
laceri e affamanti, dopo i grappoli di bombe regalavano
chocolate.Lacrime e sangue. Dilagava il vizio, la
degenerazione, il decadimento. Sotterrata ogni fede,
calpestata ogni utopia, dalla nera mescolanza il figlio
della colpa. Mal tollerato, non digerito, dal futuro
incerto, mutevole.
I liberatori avevano reso la città un prostibolo. Qui come
altrove, come Tombolo, una grande pineta presso Marina di
Pisa, dove avevano creato un immane bordello, dove donne
provenienti dalle zone dell'Italia liberata, ai militari
alleati offrivano il sesso a buon mercato.

Chi ha avuto, avuto, avuto…
Chi ha dato, ha dato, ha dato…
Scurdammoce 'o passato,
simme 'e Papule, paisà!

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