venerdì 15 maggio 2009

PROVERBI: FRAMMENTI DI SAGGEZZA ANTICA!

PROVERBI: FRAMMENTI DI SAGGEZZA ANTICA

"Quei probata verba": così definiva Aristotele i proverbi.
Concise espressioni generalmente approvate e ratificate in
quanto mosse da secolari constatazioni ed universali
esperienze maturate in virtù del costante ripetersi di
analoghe situazioni.

Di qui l'istintiva istanza didascalica (forse spontaneamente
o addirittura inconsciamente avvertita) di tramandare tali
"granelli di sale" - e il sale è appunto sinonimo di
sapienza - in forma quanto più concentrata, spesso rimata
perché meglio memorizzabile, strutturandoli a mo di
massima o di autentica sententia brevis da valere ai fini
didattici e di ammaestramento.

Divenuti oggetto di studi socio-antropologici, i proverbi -
dalla loro equivalente greca paroimia - hanno dato
consistenza ad una specifica e autorevole disciplina, la
paremiologia, che ne approfondisce la formazione, la specie
e le valenze, e che ha annoverato illustri studiosi quali
Tommaseo, il Pitrè, il Lombardi-Satriano, tanti altri oggi
vantandone per ciascuna regione italiana.

Ampia e privilegiata l'accoglienza che le fonti letterarie,
in disparati ambiti spazio - temporali, hanno riservato ai
proverbi: ad essi si intitola uno dei più fruibili libri
vetero-testamentari, attribuito al saggio re Salomone,
abbondanti gli adagi tra gli antichi Egizi e Cinesi, tutti
correlati alla raffinata pazienza di quelle attente
popolazioni; sornionamente presenti gli stessi nelle
ridanciane commedie di Plauto.

Erasmo da Rotterdam diete vita ad una pregevole Collectanea
adagiorum, mentre Shakespeare ne ricavò direttamente i
titoli per tre suoi capolavori (Tutto è bene quel che
finisce bene, Misura per misura, Molto rumore per nulla);
Miguel Cervantes, nel Don Chisciotte, condì con ammiccanti
motti sollazzevoli exploit di Sancho Panza.

Per l'area napoletana il periodo più fecondo delle
presenze letterarie proverbiali si colloca nel nostro
viscerale e barocco Seicento, facendo _ si eco all'arguto
immaginario popolare: così ne "Lo Cunto de li cunte" del
Basile (1627) - che solo in prosieguo di tempo fu
ribattezzato Pentamerone in moraleggiante chiave
antiboccaccesca - si possono riscontrare circa
trecentocinquanta locuzioni della specie; nelle nove Ecloghe
de Le Muse Napoletane dello stesso autore (1635) - in cui
è riportata l'aurea massima "Li mutte (i motti) de
l'antiche sò digne de memoria" - se ne contano oltre
centonovanta; un buon centinaio è disseminato nel curioso
e vagamente campanilistico assunto dell'oscuro Partenio
Tosco (L'eccellenza della lingua napoletana, 1662), dove si
incontra una nutrita serie di cosiddetti proverbi trimembri,
cioè articolati in tre addendi tipo e dei quali ebbe ad
occuparsi Benedetto Croce in un suo giovanile lavoro.

Ma ancora oggi a Napoli i proverbi rappresentano la saggezza
popolare e i più anziani sono i depositari di modi di dire
che interpretano l'esperienza di chi ha già vissuto la
vita ed ha voce in capitolo e titoli per insegnare ai meno
giovani tantissimo, anche ricorrendo ai proverbi che si
rimandano da padre a figlio.

Raffaele Bruno

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